Lupu, il solitario

di Bryce Morrison

(Pubblicato sul n. 16 di Amadeus, marzo 1991)

Vita ritirata, niente interviste, rari concerti, poche e preziose incisioni: Radu Lupu a quarantasei anni ha già costruito intorno al suo personaggio il mito. Ma i fortunati che l’hanno ascoltato dal vivo sono testimoni di esecuzioni indimenticabili.


Radu Lupu (anche in rumeno, il suo cognome significa lupo) rimane un grande enigma musicale. I suoi concerti e le sue incisioni sono di un ‘intrigante rarità. E, analogamente a Michelangeli e Martha Argerich, trovando le tensioni e le difficoltà nella vita del concertista moderno spiacevoli e fastidiose (l’incessante necessità di viaggiare, ovvie pressioni commerciali, ecc.), vive in una sorta di segregazione eremitica dettatagli dal suo stato d’animo; così capita che gelosi rivali e colleghi sinceri sono equiparati indifferentemente a impostori, organizzatori e critici e vengono trattati come componenti di un’unica comitiva. È stato definito a ragione «Un lirico fra mille» e le sue esecuzioni possono risultare indimenticabili per grandezza e ineguagliabile sensibilità. Nelle poche ma preziose incisioni, la sua esecuzione musicale dimostra come un artista veramente grande possa essere originale senza ricorrere a compiacenti manierismi o idiosincrasie e possa dare una lettura personale ma non personalistica di uno spartito. Pochi pianisti hanno dimostrato un’integrità superiore, un equilibrio più responsabile e naturale tra i propri desideri e quelli del compositore. Con Lupu si percepisce in modo sublime la presenza sia del compositore che dell’interprete, del creatore e del ricreatore.

Una dote naturale

Radu Lupu è nato a Galati, in Romania, nel 1945. Suo padre era avvocato, sua madre linguista, entrambi intellettuali autodidatti con nessun rapporto evidente con la musica. Eppure, quasi immediatamente, il loro figlio evidenziò quella speciale dote naturale generalmente associata ai bambini prodigio, e avanzò rapidamente lungo una strada brillante e precoce. Cominciò a prendere lezioni di pianoforte all’età di sei anni, entrò in quello che egli definisce umoristicamente il «periodo Reale» a undici e si esibì per la prima volta in pubblico a dodici.
A diciassette vinse una borsa di studio al Conservatorio di Mosca e, con tranquilla indifferenza nei confronti di tutto ciò che andasse oltre il presente, più tardi, nel 1966, vinse il Concorso Van Cliburn. All’epoca, il Van Cliburn propendeva fortemente per l’atletismo piuttosto che per l’acutezza e la sensibilità (si doveva ancora scoprire che Mozart così come Ciaikovskij e Rachmaninov avevano scritto musica impegnativa). La capacità di andare così facilmente incontro alle più ovvie richieste perfino del repertorio più flamboyant depone molto a favore di questo pianista che invece già palesava una marcata tendenza verso l’introspezione (il programma presentato al Von Cliburn comprendeva il Secondo Concerto per piano di Prokofiev, (un’esecuzione notoriamente impegnativa). Il mio insegnante Alexander Uninsky (anch’egli vincitore del Concorso Chopin a Varsavia nel 1932) e Alicia de Larrocha figuravano tra i suoi maggiori ammiratori al concorso e, come mi raccontò successivamente Madame de Larrocha: «Lupu era di gran lunga il pianista più raffinato. Ma la mia preoccupazione era dettata dal fatto che tali qualità profondamente musicali potessero essere sottovalutate e, quindi, passare inosservate. Per un motivo o per l’altro, tutto andò per il meglio; tuttavia, tale esperienza mi rese diffidente e sospettosa, tanto che mai più entrai a far parte di una giuria di concorso».
Lupu fece onore al suo premio, tenendo il numero necessario di concerti in America, ma evitando ogni importante comparsa in Europa. Dette invece ulteriore prova del suo prestigio, iscrivendosi e vincendo il Concorso George Enesco del 1967 nella sua terra nativa, in Romania: dopodiché, due anni più tardi, vinse il terzo Concorso per Piano di Leeds. In tale occasione, Lupu venne salvato in extremis dal presidente del concorso, che in questo caso si dimostrò perspicace e lungimirante, perché, avendo scoperto che Lupu non era stato ammesso alla prova finale, suggerì caldamente ai membri della giuria che manifestavano un particolare interesse nei confronti dell’arte portata ai massimi livelli di tornare sulle proprie decisioni. Sir Clifford Curzon si distinse tra coloro che accolsero tale suggerimento. Finalmente, qualche tempo dopo, Lupu si sentì pronto a esporsi al giudizio del pubblico e a far fronte a impegni e appuntamenti di livello mondiale, con la Filarmonica di Berlino, l’Orchestra Sinfonica di Chicago, ecc. Si parlò del Secondo concerto di Rachmaninov quale possibile debutto londinese nell’ambito di un Promenade Concert (un concerto all’aperto al quale il pubblico può assistere passeggiando); tuttavia, nonostante l’entusiasmante prospettiva, Lupu si ritirò dalle luci della ribalta e, libero dalle pretese artefatte e insaziabili di un mondo basato sulla competizione, rivolse la sua attenzione verso il repertorio che più amava e stimava: ossia verso Bach, Haydn, Mozart, Beethoven, Brahms e, soprattutto, verso il suo amato Schubert. Il recital in occasione del suo esordio londinese presentò così, quale caratteristica distintiva, la poesia e non tanto lo spettacolo pirotecnico; fatto che indusse un critico particolarmente garbato a sperare che, in occasioni future, egli avrebbe nuovamente regalato al pubblico l’essenza e le ombre dei suoi compositori preferiti.

Inclinazione al sogno

La squisitezza di Lupu non è mai stata messa in dubbio, invariabilmente confermata dalla sua memorabile e assai discussa interpretazione del Largo del Terzo Concerto di Beethoven a Leeds. Vi erano tuttavia anche alcune riserve e si ebbe l’impressione che la sua inclinazione al sogno e all’elucubrazione avrebbe potuto portare a interpretazioni non sufficientemente intense e focalizzate. Eppure, in breve tempo le accuse relative a «fragranti diminuendi» e alle sue «piccole smorfie di imbarazzo» vennero cancellate da un crescente senso di liberalità e ispirazione, da esecuzioni complessivamente più salde e convincenti; e, ben presto, emerse la formula decisamente riconoscibile di Lupu, caratterizzata da una fusione di austerità e libertà, di fantasia e severità, di raro equilibrio musicale.
Si notò immediatamente un «rubato semplice, lirico, chiaramente focalizzato, ma senza traccia di nervosismo» e, più in particolare, nell’Intermezzo in si minore tratto dall’opera 119 di Brahms, «una perfetta modulazione di struggimento primaverile e rammarico autunnale». Da allora, i critici hanno lottato nel tentativo di definire e ridefinire le precise qualità di tale inequivocabile maestria nell’esecuzione, animata da una profonda sensibilità; e l’opera di Lupu è stata comprensibilmente giudicata con soggezione da André Previn, Ashkenazy, Murray Perahia, Andras Schiff, Imogen Cooper, Mitsuko Uchida, ecc., illustri amici e ammiratori musicisti spesso presenti tra il suo pubblico.
Nel 1970, una settimana dopo aver vinto il Concorso di Leeds, Lupu firmò un contratto esclusivo con la Decca, per la quale le incisioni, seppur preziose, non sono state numerose. Le Sonate complete per violino e pianoforte di Mozart con Szymon Goldberg, i Quintetti per pianoforte di Mozart e Beethoven rispettivamente K. 452 e l’opera 16 – e le Sonate per violino e piano di Franck e Debussy con Kyung Wha Chung testimoniano la sua raffinatezza nella musica da camera. Le incisioni di concerti comprendono il ciclo completo di Beethoven, Grieg e Schumann, il Primo di Brahms (non si dimostra ancora incline a suonare il Secondo) e i concerti K. 414 e 467 di Mozart. Nel repertorio solista, il rapporto privilegiato è con Franz Schubert, nelle numerose Sonate, gli Impromptu completi e Moments musicaux.

Lupu e Schubert

Con incisioni di Kempff, Brendel, Richter, Pollini e Curzon – per fare solo cinque nomi – non siamo sicuramente a corto di grandi schubertiani; eppure, molti sentiranno in Radu Lupu l’artista dei propri sogni. È stata meritatamente celebrata la sua interpretazione delle Sonate in la minore D. 845, sol maggiore D. 894, do minore
D. 958, e la maggiore D. 959; ma l’esecuzione e lo stile espresso in incantevoli opere giovanili come le Sonate in mi D. 157 e in la bemolle D. 557 meritano altrettanta considerazione. Entrambe sono meraviglie della più intensa concentrazione e vitalità; la loro trasparenza e flessibilità ritmica smentiscono in ogni attimo l’atteggiamento di sottovalutazione di Lupu nei confronti della propria tecnica. Pochi pianisti hanno dimostrato di essere in possesso di una conoscenza più profonda circa la modalità con cui Schubert riuscì a combinare, in tali opere precoci e sperimentali, convenzionalità e sorpresa in un connubio così riuscito. Tale miscela di ingenuità e musicale raffinatezza difficilmente potrebbe trovare un favore più disinvolto o scintillante da un punto di vista stilistico. E, ancora una volta, mentre il successo di Lupu nel Concerto di Schumann sembrò un risultato scontato, quello di Grieg lo sfidò a un virtuosismo complessivamente più aperto e generoso. Qui l’equilibrio tra vigore e sensibilità è inimitabile, la raffinata eleganza tonale nella sua prima entrata nell’Adagio centrale e negli stessi movimenti che concludono i trilli risulta ineguagliabile (sebbene il suo rifuggire dall’arguta richiesta di Grieg di fortissimo seguito immediatamente da pianissimo non è meno propria di una sporadica elusività).

Le incisioni di Lupu preferite dal sottoscritto comprenderebbero il Quarto Concerto di Beethoven con la sua ossessionante poesia (un ideale strumento di espressione per la sua riservatezza classica e radiosità tonale), gli Impromptu completi di Schubert (qualcuno è mai riuscito a suonare in modo più toccante il sol bemolle dell’opera 90?) e tutte le sue incisioni di Brahms, compresa la Sonata in fa minore e i successivi Intermezzi, opera 117, 118 e 119. Aggiungerei anche la Sonata per violino e pianoforte di Debussy, dove la sua natura sempre vivace e mutevole è ipersensibile alla magia allucinatoria della musica. I futuri gruppi musicali dovrebbero essere avvertiti che Lupu riesce sempre, con il suo stile dolce e delicato, a focalizzare l’interesse prioritario sulla sua parte del duetto!
Oggi, Lupu ripensa ai primi anni della sua carriera, con la notorietà e il divismo che li caratterizzò, con un atteggiamento allo stesso tempo di rassegnazione e avversione. Nutre ancora affetto e riconoscenza nei confronti dei suoi maestri, per Viktor Biokerich, Lia Busuoicianu, Mindru Katz, George Georgescu, Florica Muziscu (l’insegnante di Lipatti), Heinrich e Stanislav Neuhaus ed è felice di ricordare quella che ama definire «una lotta contro i rumori», riferendosi a quando suonò il Primo Concerto di Liszt nella leggendaria classe di Henrich Neuhaus e dovette lottare per farsi sentire ed emergere al di sopra dell’accompagnamento fin troppo caloroso di Vladimir Krainov. E, tuttavia, l’enigma rimane. Ulteriori incisioni di Schubert (specialmente la Sonata in si bemolle e la Wanderer Phantasie) sono oggetto di discussioni, pur tranquille e riservate, mentre tutti i musicisti si chiedono se e quando Lupu affiancherà, nel suo repertorio recentemente in espansione, alle sue interpretazioni spesso memorabili aggiunte inaspettate come la Sonata in fa diesis minore, Fantasie e Kreisleriana di Schumann, Quadri di un’esposizione di Musorgskij e la Sonata di Liszt. Tenebroso ed euforico, pragmatico e distratto, imperturbabile ed emotivo: Radu Lupu racchiude in sé tutte queste caratteristiche. Per Lupu, molti pianisti nel corso della loro carriera, spesso difficile atraumatica, sono sorretti dal genio e dal talento della loro vocazione, «ma noi non siamo geni, caro amico». La sua preoccupazione principale – quella di essere un musicista assolutamente vero – può essere franca e incontaminata; eppure, egli rimane un oscuro e misterioso angelo della tastiera.