Io, Leonard, fanatico della musica (parte quarta)

di Jonathan Cott*

(Pubblicato sul n. 11 di Amadeus, ottobre 1990)

Quando è nato il suo interesse per la «musica dei popoli del mondo», per usare un’espressione di Henry Cowell?
«Quando avevo 19 anni, ricordo in particolare che la Uday Shankar Dance Company tenne uno spettacolo alla Symphony Hall per una settimana. La bellezza della musica e delle danze – i sottili movimenti delle dita, delle mani e degli occhi! – mi avvinse completamente. Non posso dirle a che punto fossi rapito, tornai a rivederli ogni sera, e non importava che quella settimana fosse quella dei miei esami di metà anno! Fui tanto fortunato da incontrare il direttore musicale della troupe – un uomo di nome Vishnudass Shirali che mi spiegò il raga e chiese ai musicisti di mostrarmi il sitar e i tabla.
In cambio io lo invitai alla Symphony Hall un venerdì pomeriggio ad ascoltare Koussevitzkij che dirigeva la
Sinfonia in sol minore di Mozart. Ma a un certo punto del primo movimento mi accorsi che Shirali si era addormentato. Gli diedi una gomitata e gli dissi: “È la grande Sinfonia in sol minore di Mozart”. Iniziò l’andante ed egli si appisolò di nuovo. Così durante l’intervallo gli chiesi: “Che cosa succede? Assolutamente nessuna reazione?” “No”, mi rispose, “assolutamente nessuna reazione. È una musica per neonati – è per bambini piccoli – Deh-de-dah Deh-de-dah Deh-de-dah dah/Dah-de-deh Dah-de-deh- deh Che cos’è? Non è interessante”. Io dissi: “Ma cosa mi dice di tutti quegli accordi? Voi non avete accordi, cosa ne dice di quei cambiamenti armonici? Cosa ne dice di quella pazza sequenza nella sezione di sviluppo? Quelle originali frasi e cancellature?”. Niente. Non riuscivo a farlo parlare di tali argomenti. Così aggiunsi. “Lei si sta semplicemente vendicando perché molti americani si addormentano durante i 45 minuti delle vostre raga. Lì l’interesse è nella linearità e nei microtoni di una musica monodica, diretta… e, certamente, nei ritmi nel bordone di basso ininterrotto, non esce mai da questo schema. Perlomeno Mozart entra in una sottodominante e fa delle modulazioni”. “Roba per bambini”, mi assicurò Shirali. “Le melodie sono sciocche, i ritmi ordinari e squadrati”. Così pensai: è possibile che due esseri umani viventi sullo stesso pianeta, soggetti alle stesse leggi delle serie armoniche, bipedi, etc. non possano parlare tra loro dal punto di vista musicale? E compresi che era solo questione di tempo, di esporsi e di venire esposti a una nuova musica – come essere esposti a una lingua straniera o a usi stranieri – e trattarla non come un’aliena ma come un’amichevole coabitante del pianeta.
E non è stupendo conoscere qualcuno che è un po’ diverso da noi stessi? Tutti i bambini nascono con un certo linguaggio e una certa competenza musicale. Diversamente non sareste in grado di darvi ragione di un bambino di due anni che dice: “Mi piace di più il gelato verde”. Questo è l’alfabeto della Pentecoste – le lettere di fuoco- che Dio ci ha dato: il Suo più grande regalo, la capacità di parlare e di comunicare. E una buona parte della comunicazione è musica. Ogni bimbo nasce con un senso del ritmo e ha la capacità di intonare elementari suoni armonici. È parte dell’aria che respiriamo, parte dei nostri corpi. Le serie armoniche sono in ciascuno di noi – l’ottava, la quinta, la quarta, la terza, la seconda maggiore e minore. Un neonato conosce l’intervallo di un’ottava perché sua madre canta una nota o una melodia un’ottava più alta rispetto al padre. In ogni paese del mondo i ragazzi si canzonano con lo tesso tono: “Nya nya/Nya nya”, i primi due suoni della serie armonica diversi dal fondamentale. E ogni bambino nasce con la conoscenza dell’1-2, 1-2: ha due mani, due piedi, due occhi, inspira ed espira, conosce l’idea di alzarsi e abbassarsi, andare a destra, a sinistra e sa marciare: toddle-toddle, toddle-toddle! E così quando noi distruggiamo questa capacità inibendo i nostri figli, insegnando loro a essere cinici, a manipolare e tutto il resto – questo oltre ai normali traumi infantili – stiamo derubando i bambini dei diritti naturali a cantare e a ballare e a capire le parole e la musica. Fino a quando non comprenderemo questo, i giovani non ameranno mai ascoltare nessun tipo di musica eccetto quella rullante, che non richiede loro né tempo né attenzione. È come masturbarsi — “Ba-by!” (chuk-a-chuk) “J-need-ya! ” (chuk-a-chuk)»

Leonard Bernstein e Paul Simon insieme nel 1966 presso lo studio di registrazione della Columbia Records, a New York City.

Nell’introduzione al suo libro The Infinite Variety of Music (1966) lei ha scritto: «In questo momento, in cui sto scrivendo, Dio mi perdoni, provo maggiore piacere nel seguire le avventure musicali di Simon & Garfunkel o The Association che canta “Along Comes Mary rispetto a quello che provo per la maggior parte di ciò che è stato scritto attualmente dall’intera comunità dei compositori “d’avanguardia”… La musica pop sembra essere l’unica area in cui si riesce a trovare sfrontata vitalità, il divertimento dell’inventiva, la sensazione di aria fresca… Cosa pensa oggi della musica rock?
«Bah! Sono rimasto molto deluso dalla maggior parte di essa. Negli anni Sessanta e Settanta c’erano molti straordinari musicisti che amavo. E, secondo me, i Beatles sono stati i migliori scrittori di canzoni dopo Gershwin. Recentemente, però, ho partecipato a una festa in cui c’erano molti ragazzi sui vent’anni e la maggior parte di loro non conosceva nemmeno canzoni come Can’t Buy Me Love, She’s Leaving Home, She Said She Said , e nessun altro delle decine di capolavori dei Beatles: Cosa significa ciò? E se sento ancora uno strillo metallico o un’altra orribile imitazione di James Brown mi metterò a urlare. Quando fui in Spagna, molti anni fa, ricordo di avere osservato immensi cerchi di persone in una piazza di un villaggio della Catalogna che univano le braccia e ballavano sardanas con un complesso strumentale chiamato cobla – danze di una complessità che non riuscii a impararle. Altro che parlare di danza innata e competenza musicale! Quelle persone semplicemente la facevano. Come quei marinai greci ubriachi che entrarono in una taverna e incominciarono a ballare in 5 o 7 . . . e la banda non sa di suonare in 5 o 7 tempi… Questa è musica straordinaria – molto più eccitante di qualunque cosa l ‘attuale mondo del rock possa offrire».

Che cosa ne pensa dell’attuale ampio uso dei sintetizzatori?
«Nel 1988 mi lasciai convincere a prendere il più grande sintetizzatore a tastiera mai visto. La New England Digital mi inviò il suo ultimo e più sofisticato modello, destinato, originariamente, alla M.I.T. Ci vollero dieci giorni per installarlo nel mio studio. Sembrava il cruscotto del Concorde, era installato vicino al mio pianoforte. Poi portarono dentro un Mac 14-36-B-Jaguar (o qualcosa di simile) al quale collegarono una stampante nella stanza adiacente. Tutto questo richiese un’altra settimana. Poi arrivò un “esperto” a insegnarmi come funzionava il sintetizzatore. Venne tutti i giorni per una settimana, seguito, poco dopo, da un ragazzo di Oberlin; e anche lui doveva essere istruito. “Lasciami solo con l’esperto”mi disse: “è facile”. Essi lasciarono sempre tutto acceso e mi dissero che potevo improvvisare a sazietà tutta la notte e che la mattina sarebbero venuti a interpretare lo stampato. Il tutto risultò essere una vera lotta con il “click track” (che dà le linee delle battute sulla stampante). Ora nessuno può battere la traccia del “click track ” se non con l’uso di una batteria elettronica … e io non posso aver una batteria, perché semplicemente non sono il tipo. Per dimostrare il mio punto di vista eseguii l’andante della Patetica di Beethoven – senza rubato, senza niente – “contro” la traccia del “click track”. E dopo solo una battuta e mezza già non combaciavamo più, perché nel millisecondo necessario per premere il tasto per produrre un suono, la stampante evidenziava qualcosa che assomigliava più a Charles Ives che a Beethoven – una piccola macchia amorfa di un sessantaquattresimo, due sedicesimi e così via. “Sedetevi”, dissi ai miei due assistenti, “e fatelo voi”. Non riuscirono nemmeno loro. Inoltre, quando cercai di comporre, mi sentii totalmente inibito stando seduto tutto solo osservato da quel mostro dagli occhi di Argo. Infine, dopo sei settimane di tortura, ho ottenuto che il sistema venisse smontato… cosa che richiese un’altra settimana. Quindi, in risposta alla sua domanda: “mi piacciono i sintetizzatori?” Sono grandi in teatro e nei dischi, ma per la composizione? Al diavolo!».


Cosa ne pensa dei fortepiano e degli strumenti d’epoca, oggi tanto popolari nell’esecuzione di musica del XVII, XVIII e XIX secolo?
«Dipende. Ho suonato il piano di Mozart nella sua casa di Salisburgo e, mio Dio, che rumore faceva! Ho suonato il piano di Chopin nella sua casa di Varsavia e il piano di Beethoven a Bonn e Vienna. Ho inoltre in casa mia un doppio arpicordo, una copia di un arpicordo Couperin del periodo barocco francese. E posso dire che se uno strumento può consentire di avvicinarsi maggiormente alle intenzioni del compositore allora va bene. Ma è necessario usare un po’ di seykhl (buon senso). Alla fine dipende tutto da chi suona lo strumento. A mio parere l’opera del direttore d’orchestra Trevor Pinnock in questo campo è particolarmente affascinante, e le sue esecuzioni di Bach e Handel mi fanno letteralmente balzare in piedi!»

Cosa ne pensa dei CD?
«Penso che siano la più grande rivoluzione mai verificatasi nel mondo della musica registrata. Non è necessario girarli, non ci sono fischi, nessun rumore superficiale. Forse mi manca un po’ la base, il suono sembra essere sospeso. Ma, naturalmente, ti arriva. È veramente una cosa meravigliosa. L’altro giorno in automobile ascoltavo la versione in CD del mio Falstaff di Verdi (con Fischer-Dieskau e la Filarmonica di Vienna) del 1966, e il suono era così straordinario che quando arrivai a casa non riuscii a spegnere il motore: sono rimasto seduto lì fino alla fine dell’opera. E si trattava di una registrazione di quasi 25 anni fa!»

Fine

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*Pubblicato per gentile concessione di Jonathan Cott da “Rolling Stone Magazine” (Settembre 1990) Straight Arrow Publishers, Inc. 1990 (Diritti riservati)