di Callisto Cosulich

(Pubblicato sul n. 5 di Amadeus, aprile 1990)

Dalla lontana storia di un pianista con le mani di un assassino,
al raffinato intreccio psicologico dei componenti
del «Quartetto Basileus».

Parrà curioso, ma il primo film, la cui vicenda sia incentrata sulla vita, le gioie e i dolori di un musicista, appartiene a un prototipo del cinema dell’orrore: il primo almeno che viene in mente, scavando nella memoria. Risale al 1924, è un film tedesco, si chiama Orlacs Hände, in Italia, a suo tempo, passò sotto il titolo Le mani dell’altro. Fu diretto da Robert Wiene, il regista di Il gabinetto del dottor Caligari, che per l’occasione aveva abbandonato i moduli espressionistici a lui cari, e interpretato da Conrad Veidt, l’attore più affascinante e, insieme, più sinistro che praticava allora i set della Germania.

La locandina del film di Fabio Carpi.

Il film era tratto da un romanzo del francese Maurice Renard, nato nel 1875 morto nel 1939, un anticipatore del genere fantascientifico che amava definirsi amateur d’insolite et scribe des miracles. Dotato di una fantasia quanto mai profetica, Renard aveva previsto, tra le varie conquiste del tardo Novecento, la cibernetica e il trapianto di organi. Le mani di Orlac sono, infatti, organi trapiantati: a un pianista che le aveva perse in un incidente. Purtroppo il «donatore» era un assassino che aveva esalato il suo ultimo respiro sulla forca. Accadeva perciò che il pianista ne perdesse alle volte il controllo e che le nuove mani, invece di posarsi sulla tastiera, andassero a stringere il collo di passanti malcapitati, macchiandosi di orribili delitti.
Il film ebbe tale fortuna, da guadagnarsi due remake: uno nel 1935, Mad Love, diretto in America dal tedesco Karl Freund, più noto come maestro delle luci, e interpretato da Peter Lorre, l’altro nel 1962, The Hands of Orlac, diretto in Gran Bretagna dal francese Edmond T. Greville (la T. non sottintendeva nessun nome, ma significava per vezzo Tendresse pour les Dames), e interpretato da Mel Ferrer.

Un’immagine tratta dal film.


Apologia
della vendetta
Un altro film che coniugava il pianoforte col delitto fu girato nel 1936, si tratta di The Walking Dead )in italiano L’ombra che cammina), dove un pianista veniva accusato di assassinio e condannato a morte sebbene innocente. Richiamato in vita dal solito scienziato pazzo, egli riusciva a individuare i veri colpevoli, sterminarli senza pietà e «rimorire» definitivamente in pace. Quest’apologia della vendetta era diretta dal prolifico Michael Curtiz e interpretata da Borsis Karloff , «morto vivente» sempre inquietante, anche se non truccato da mostro come nella saga di Frankenstein. Non siamo in grado di stabilire quali musiche suonassero questi micidiali pianisti nel corso dei film elencati. Ricordando vagamente il Leit Motiv di L’ombra che cammina, che arieggiava Rachrnaninoff, possiamo ipotizzare che era saccheggiato soprattutto il repertorio romantico. Si veniva così a creare un maggior contrasto tra l’orrore delle immagini e la passionalità della colonna sonora, tra il Brutto e il Bello, il Male e il Bene, la Morte e la Vita.

Fragile e preziosa armonia
Se il destino del solista è stato quasi sempre semplice, quindi molto utilizzato nei film drammatici, i problemi narrativi si sono fatti più ardui quando dai solisti si è passati ai complessi e al quartetto in ispecie, che nel cinema è stato alternativamente usato nella colonna sonora e in quella visiva, talvolta passando dall’una all’altra nello stesso film. Il complesso richiama alla mente il concetto dell’armonia: artistica,          spirituale sentimentale. Chiama in causa l’idea dell’amicizia: un bene che, come noto, è assai fragile e rischia in ogni momento di dissolversi per le cause più disparate. Sul tema dell’amicizia e della sua dissoluzione, del «ci eravamo tanto amati», si sono fatti fior di film, che qui non è il caso di citare. L’argomento è stato ripreso anche da Fabio Carpi in quella che viene tuttora giudicata la più riuscita delle sue pellicole: Quartetto Basileus.

Un’altra immagine tratta dal film.

I titoli di testa del film scorrono su un concerto dato dall’immaginario Quartetto Basileus. Il brano eseguito è il profetico «La Morte e la Fanciulla» di Schubert, che preannuncia la dipartita del «primo violino» Oscar Guarneri, colpito da infarto al termine del concerto. È una sciagura che ciascun complesso mette in preventivo, ma che, quando capita, provoca disastri difficilmente riparabili: il quartetto, così come il trio, come il quintetto, come tutti i piccoli complessi, sono delle macchine delicate, fondate sulle innumerevoli varianti umane; sostituirne un elemento è un’operazione ardua, quasi sempre destinata all’insuccesso, nonostante la migliore volontà del sostituto. Nella fattispecie l’operazione è resa ancora più ardua dal fatto che il «primo violino» era l’elemento che cementava il gruppo, che lo costringeva a privilegiare le esigenze artistiche, quindi pubbliche, su quelle private che ciascun componente per il bene comune aveva tacitamente rimosso.

Sottile intreccio di affetti
I tre rimasti dapprima decidono separarsi; ma, rendendosi conto che l’arte li ha in un certo senso alienati dalla vita sociale. dopo pochi giorni tornano a riunirsi senza saper bene il motivo. Sarebbero costretti ad andare ciascuno, sebbene controvoglia, per la propria strada, se non si presentasse a loro un giovane violinista, chiedendo di poter sostituire il defunto. I tre superstiti, quasi per ridere, lo mettono alla prova: constatato, però, che hanno dinanzi un vero e proprio virtuoso, lo accolgono. Ma è come se avessero recepito un virus: la differenza d’età e la carica vitale d nuovo venuto hanno un effetto scatenante sul vecchio organismo, e dovrà dissolversi, come prescritto. Solo che la sua dissoluzione sarà più lenta, più amara, più tragica.
Raccontata per sommi capi, questa vicenda ricorda il soggetto di La belle équipe (La bella brigata), il film di Julien Duvivier che nel ’36, raccontando il dissolvimento di un gruppo di amici, alludeva alla fin del Fronte Popolare. Per individuare le cause della crisi in cui incappava la bella e proletaria brigata, bisognava soprattutto chercher la femme, impersonata in quel film dalla sensuale Viviane Romance. In Quartetto Basileus non esiste un motivo fondamentale. A dissolvere il complesso, ne intervengono tanti, ivi compresa la passione per il nuovo venuto, da cui sarà colto Guglielmo, l’omosessuale del quartetto: passione non corrisposta, che lo condurrà infine al manicomio.
Va detto che i riferimenti di Carpi sono prevalentemente di natura letteraria. In particolare La recherche proustiana. Non a caso il nuovo componente del Quartetto si chiama Edoardo Morelli, un cognome molto vicino a Morel, il violinista di Proust, mentre le reazioni dell’omosessuale, specie nei suoi risvolti sado-masochistici, ha molti punti in comune con quella del barone di Charlus. La musica per quartetto (oltre a Schubert, i quartetti in Sol minore di Debussy, in Mi minore di Smetana e in Mi bemolle maggiore op. 74 di Beethoven) si limita a far da coro.