In occasione dl decennale della morte di Claudio Abbado, avvenuta a Bologna il 20 gennaio del 2014, iniziamo la pubblicazione di tutti gli articoli dedicati da Amadeus al grande direttore d’orchestra, protagonista della vita musicale del Novecento e di questo primo scorcio del nuovo secolo.
È stato inevitabile che, fin dal primo numero, la nostra attenzione fosse rivolta al Maestro da poco eletto a una delle cariche più prestigiose: quella di direttore dei Berliner Philharmoniker.

(Aprile 2000 – Amadeus n. 125)

Salisburgo. «Simon Boccanegra»: i trionfi di Claudio Abbado e Peter Stein

di Duilio Courir

Con un successo di proporzioni ultracalorose e di entusiasmo insolito per un’opera niente affatto popolare, gli Osterfestspiele salisburghesi hanno proposto per la prima volta al Grosses Festspielhaus Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi con la direzione di Claudio Abbado e la regia di Peter Stein, una guida dell’opera difficilmente superabile sul terreno interpretativo del melodramma.
Di Abbado sono conosciuti i precedenti interpretativi assieme a Giorgio Strehler esattamente trent’anni fa, proprio dal Simone in una non dimenticata edizione scaligera, una versione destinata a travolgere ogni riserva sul rivoluzionario capolavoro verdiano, con quelle svolte inattese e perfino per l’autore di Rigoletto e di Traviata con l’invenzione del coro parlato e con quegli impulsi più profondi e segreti dell’anima che anticipano gli abissi psichici di Don Carlo e Otello.
Il direttore milanese ha guidato i Berliner Philharmoniker e una compagnia di canto formata da alcune affascinanti vette interpretative come Karita Mattila (Maria Boccanegra) e Roberto Alagna (Gabriele Adorno) e protagonisti meno irresistibili ma sempre di scelta accurata quali Carlo Guelfi (Simon Boccanegra) e Julian Konstantinov (Jacopo Fiesco), in una dimensione di esattezza, intensità, energia ed espressività di canto che è quanto di meglio ci si potesse attendere dalla piena maturità artistica abbadiana. I furori, i blocchi sonori e le trasparenze liriche della partitura hanno avuto una definizione di equilibrio assoluto grazie al quale anche i salti logici di quest’opera, ancor più evidenti di quanto accade solitamente nel melodramma verdiano, venivano saldati dalla vicenda dei suoni che costituisce e forma il vero tessuto logico connettivo.
Abbado ha realizzato tutti i momenti, tutto il mosaico linguistico di quest’opera, il senso politico e il sentimento di affetti che si integrano in quest’opera come mai prima in Verdi, e la sottolineatura dell’evento sonoro che è un tratto tipico del tardo romanticismo e che imprime a quest’opera, nella quale si fa evidente la forza con cui si era impressa nella fantasia verdiana la lezione del Lohengrin, un sentimento quasi mahleriano.
Opera niente affatto tradizionale ma concepita a lampi e blocchi inventivi, Simon Boccanegra è stata investita dalla fantasia scenica geniale di Peter Stein sostenuto dal­ le scene di Stefan Mayer e dai costumi di Mindele Bickel, senza lasciar scorgere i tentativi di una narrazione razionale ma permettendo che fosse la musica a compiere questa fondamentale fusione tra vicenda librettistica e partitura.
La struttura del Simone è rimasta squilibrata e irrazionale come effettivamente è, ma dal magma indistinto degli accadimenti sono emerse ben chiare la forza e la qualità delle idee registiche che hanno rimesso tutto in equilibrio. Abbiamo ritrovato nella regia di Stein l’inquadramento dei personaggi pensati scenicamente come ritratti che era dominante nel Wozzeck e, soprattutto, nelle scene di masse. quello stupefacente, palpitante drammatico agitarsi del popolo che abbiamo incondizionatamente ammirato nell’allestimento del Moses und Aron ad Amsterdam. In una impresa di tale livello non si possono dimenticare gli esemplari Berliner e I’European Festival Chorus, accomunati giustamente nel trionfo finale ad Abbado e Stein.